Nell'acquario di Facebook. La resistibile ascesa dell'anarco-capitalismo by Ippolita

Nell'acquario di Facebook. La resistibile ascesa dell'anarco-capitalismo by Ippolita

autore:Ippolita [Ippolita]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Facebook, anarco-capiatlismo, social media, paypal mafia
ISBN: 787a50ff-21d4-407f-818a-945bf9744e4b
editore: Ippolita
pubblicato: 2012-02-26T23:00:00+00:00


I partiti pirata: la tecnologia in politica

I pirati informatici hanno gettato l'ancora nella socialdemocratica Svezia. The Pirate Bay indicizza dal 2003 i torrent, cioè è un sito che conserva nomi e indirizzi di file condivisi dagli utenti attraverso il protocollo peer-to-peer torrent100, un formato che contiene i metadati per identificare i file (testi, audio, video, ecc.). I file condivisi non risiedono su un server centralizzato, vengono semplicemente catalogati per essere raggiungibili dagli utenti. In questo modo si aggira il problema di correità in violazione del copyright che aveva portato alla chiusura di Napster nel 2001, di Morpheus e Grokster nel 2003, e di molti altri sistemi di scambio file. Nel ragionamento dei pirati, eventuali violazioni sono a carico degli utenti. Le minacce legali ricevute dai pirati svedesi (Microsoft, Apple, Dreamworks, Adobe, e molti altri) vengono regolarmente pubblicate sul sito, con tanto di risposte che sbeffeggiano i giganti dell'IT.

Ma qual è il crimine di cui si macchiano i pirati? Il concetto di pirateria in questo caso è in larga parte derivato dalle contese in atto tra le imprese dei media (soprattutto i grandi cartelli) e la pratica della condivisione di file protetti da copyright. Le organizzazioni che rappresentano i grandi interessi legati alla produzione e distribuzione di materiali multimediali utilizzano il termine pirateria per stigmatizzare il furto del copyright, derivante a loro avviso da un minore introito. Il ragionamento è il seguente: se scarico un film (audio, libro, videogioco, programma, ecc.) protetto da copyright, non andrò a vederlo al cinema, né comprerò una copia in altra forma; ergo, danno economico derivante da furto.

Ammettiamo, per amore di discussione, che la proprietà vada difesa nel momento in cui si ledono gli interessi economici altrui. L'argomento a priori da opporre è che la crescente disponibilità di contenuti non accresce il potere di acquisto. Se ho dieci euro da spendere in musica, non ne spenderò dieci volte tanto. Forse posso scaricarli gratuitamente (solitamente con notevoli compromessi di qualità: l'mp3 non è musica stereofonica da un buon apparecchio acustico, così come lo streaming video non è uno schermo cinematografico), forse mi piacerebbe possedere più libri, film, musica, ma devo fare i conti con il portafoglio. Se non fossero gratuiti semplicemente non li consumerei, non c'è nessun profitto perduto. L'argomento a posteriori è che il giro d'affari crescente dell'industria dell'intrattenimento globale mostra chiaramente che mai come oggi i contenuti mediali sono fonte di profitti; ma certo l'avidità è insaziabile, e anche solo il sospetto che i profitti possano crescere più di quanto crescano attualmente fa venire la bava alla bocca alle grandi imprese mediali.

Ci sono poi ragioni giuridiche per cui questa definizione di pirateria è problematica. Il furto, se così vogliamo chiamarlo, di un bene digitale riproducibile in maniera identica a costi estremamente ridotti (l'usura delle memorie di massa e l'elettricità necessaria a effettuare la copia stessa) è evidentemente differente dal furto di un bene non-digitale101. Un file copiato non mi priva del file originale. Da questa constatazione discende che la proprietà intellettuale relativa a questi beni deve essere differenziata rispetto ai beni non-digitali.



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